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ICD-11 e dolore cronico: non solo un sintomo ma una malattia

Scritto da Greta Piccininni

 

Il dolore cronico è una problematica sanitaria rilevante: è innanzitutto molto frequente e rappresenta uno dei motivi più comuni per richiedere assistenza medica. È, inoltre, una fonte di forte sofferenza per le persone che ne sono affette, interferendo con le principali funzioni della vita quotidiana ed impattando non solo sul benessere fisico dell’individuo, ma anche su quello psicosociale. Per questo, la gestione del dolore cronico richiede un sostanziale ripensamento, che parte dalla riconsiderazione dello stesso non più come un mero sintomo, ma come una patologia a sé stante, come avvalorato dall’undicesima revisione dell’International Classification of Diseases (ICD), che ha finalmente incluso la classificazione del dolore cronico sviluppata dall’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore.

 

ICD-11: il riconoscimento della natura biopsicosociale del dolore cronico

L’ICD, gestito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è la classificazione internazionale delle malattie, incidenti e cause di morte, e la sua ultima revisione è entrata in vigore lo scorso gennaio 2022, portando notevoli cambiamenti ed integrazioni che riguardano direttamente le persone che vivono con dolore cronico.

Fino ad oggi, il dolore cronico è stato scarsamente rappresentato all’interno di questa classificazione, nonostante il suo significativo contributo in moltissime patologie.

L’esclusione di una classificazione sistematica del dolore cronico nelle edizioni precedenti ha reso praticamente impossibile per moltissime persone ottenere una diagnosi definitiva, con gravi conseguenze per la persona, il suo trattamento e la sua vita sociale. Un terzo dei pazienti è ancora senza una diagnosi certa e non è stato quindi indirizzato ai professionisti dei centri specializzati in terapia del dolore. Si tratta di un tema non ancora gestito attraverso una rete organizzativa di cura adeguata, poiché spesso non considerato come prioritario.

L’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) identifica il dolore come un’esperienza personale influenzata a vario titolo da fattori biologici, psicologici e sociali. Il dolore, infatti, soprattutto quando persiste per lungo tempo può non avere più un legame diretto con la causa che lo ha generato e produrre effetti negativi sulla persona, non solo a livello fisico, ma anche psico-sociale.

Questo implica che da un punto di vista clinico risulta riduttivo valutare solo l’intensità del dolore, ma è opportuno tenere in considerazione anche l’impatto sulle relazioni interpersonali, familiari, lavorative e sul benessere psicologico.

 La nuova classificazione ICD-11 conferma appunto la natura biopsicosociale del dolore cronico e ne promuove il riconoscimento come malattia in sé e non solo come mero sintomo.

La nuova classificazione contiene 7 categorie diagnostiche principali, che distinguono esplicitamente tra dolore cronico primario e sindromi da dolore cronico secondario, per le quali il dolore potrebbe inizialmente essere considerato come sintomo di una patologia. Inoltre, viene riconosciuta l’importanza di una diagnosi specifica di dolore cronico e dell’avvio di una relativa terapia continuativa in tutti quei casi in cui il dolore persiste nonostante la sua causa originale sia trattata in modo soddisfacente.

 

I vantaggi per clinici e ricercatori

Grazie alla nuova classificazione, i clinici, partendo da una determinata sottocategoria del dolore, sono messi in condizione di comprendere meglio ed in modo più immediato le potenziali cause che lo hanno scatenato e contemporaneamente fare una previsione più accurata delle conseguenze ed ottimizzare i piani di trattamento.

Trattamento e cura devono avere come scopo non solo il controllo diretto del dolore, ma anche il recupero funzionale, volto a ristabilire in certa misura il benessere fisico, psicologico e sociale della persona in carico.

 

Gli importanti cambiamenti per le persone con dolore cronico

La prima logica conseguenza di questa revisione del dolore cronico è che un approccio multimodale che tenga conto di tutte le componenti psicologiche, sociali e biologiche otterrebbe esiti migliori per i pazienti con diagnosi di dolore cronico. Ne consegue che l’approccio terapeutico dovrebbe porre maggiore enfasi al recupero funzionale come obiettivo rilevante, non secondario al sollievo dal dolore, ma complementare ad esso, per permettere a chi vive con colore cronico di migliorare la qualità della propria vita quotidiana.

Occorre restituire a chi soffre di dolore cronico la capacità di svolgere le proprie attività il più autonomamente possibile, considerandolo non solo un paziente, ma piuttosto una persona con delle necessità concrete e dei bisogni rilevanti.

Il riconoscimento formale contenuto nell’ICD-11, inoltre, pone le basi per altri importanti passi a favore di chi vive con dolore cronico. Prima di tutto, è il punto di partenza per la diffusione di consapevolezza su questa tematica nell’opinione pubblica: è fondamentale limitare lo stigma e gli stereotipi negativi cui i pazienti sono sottoposti e che si ripercuotono negativamente sulla loro vita lavorativa e sociale. In secondo luogo, è una base imprescindibile per ottenere maggior supporto a livello politico e per la realizzazione di piani specifici di intervento locali, nazionali ed europei.

 

Referenze

  1. ICD-11 for Mortality and Morbidity Statistics (Version: 02/2022): https://icd.who.int/browse11/l-m/en
  2. Barke A et al. Classification of chronic pain for the International Classification of Diseases (ICD-11): results of the 2017 international World Health Organization field testing. Pain. 2022 Feb 1;163(2):e310-e318. doi: 10.1097/j.pain.0000000000002287.
  3. R. Natale et al. Redesigning the path of care and treatment goals in patients with chronic pain: Ideas from the Science of Relief 2.0 event, August 2021, DOI:10.7573/dic.2021-6-4

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