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Dolore cronico: cos’è e come incide sulla vita quotidiana

Scritto da Greta Piccininni

Il dolore cronico è riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei maggiori problemi mondiali di salute pubblica, in quanto interessa tutte le fasce di età con una maggiore prevalenza nelle donne.

In Italia tra il 20 e il 25% della popolazione soffre di dolore cronico (circa 13 milioni di persone) con picchi al 60% per le persone con più di 65 anni. Il 90% dei casi è trattabile e curabile, eppure ancora oggi ben il 40% delle persone con dolore cronico non è a conoscenza delle cure disponibili. Trascorrono, inoltre, circa due anni tra l’esordio e il primo accesso medico e i tempi per ricevere una diagnosi corretta sono superiori ai cinque anni.

 

Tipologie di dolore cronico

In base allo stimolo da cui è scatenato si riconoscono tre tipologie di dolore cronico:

  1. dolore nocicettivo: la forma più diffusa, causato dal danneggiamento (o potenziale danneggiamento) dei tessuti. Comprende l’artrite e la maggior parte delle forme di dolore spinale;
  2. dolore neuropatico: causato da una malattia o una lesione che colpisce il sistema nervoso – (lesioni spinali, ictus, Parkinson, malattie autoimmuni o infiammatorie). Rappresenta il 15-25% del dolore cronico;
  3. dolore nociplastico che deriva da un’elaborazione anormale dei segnali del dolore, senza evidenze relative a danni di tessuto o particolari malattie. In esso si includono stati dolorosi come fibromialgia, intestino irritabile, alcuni mal di testa o mal di schiena non specifici.

Qualora non si riesca a ricondurre precisamente la condizione di dolore a una di queste appena descritte, si parla di dolore misto.

 

Approccio biomedico VS approccio biopsicosociale

Il dolore è definito dalla IASP (Associazione internazionale per lo studio del dolore) come “un’esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata a un danno tessutale reale o potenziale”.

Con dolore cronico si intende quel dolore “che si protrae oltre il normale decorso di una malattia acuta o al di là del tempo di guarigione previsto”. Protraendosi nel tempo (oltre 3 mesi), il dolore cronico può causare effetti negativi gravi a livello psicologico e sulla qualità di vita.

L’ampliamento delle conoscenze sul dolore e sulla sua fisiopatologia ne ha favorito una ridefinizione basata sul modello biopsicosociale. Secondo tale modello il dolore cronico non è esclusivamente una mera conseguenza di un danno fisico o di una patologia, bensì un’interazione dinamica multidimensionale tra fattori biologici, psicologici e sociali. Secondo tale modello l’esperienza del dolore non è solo influenzata dalla biologia, e quindi dalle condizioni fisiche di chi ne soffre, come previsto dal modello biomedico, ma anche dalla cultura, dall’ambiente, dalle relazioni sociali, dalle condizioni economiche e da umore e ansia.

Il dolore cronico, dunque, non è più considerato solo una conseguenza di una patologia, ma può essere la patologia stessa. È questo il caso, per esempio, della fibromialgia. Il dolore cronico diffuso che la caratterizza non segnala nessun trauma, non è legato a nessuna infezione e a nessuna malattia ma il dolore persiste perché qualcosa, nel complesso sistema di percezione del dolore, si è alterato.

La nuova accezione del dolore cronico come problematica biopsicosociale e la riconsiderazione di questo come patologia vera e propria hanno fornito le premesse per la revisione della International Classification of Disease (ICD-11). L’intento della revisione è valorizzare i bisogni insoddisfatti dei pazienti con dolore cronico, così tanto trascurati.

 

Dolore cronico e qualità della vita quotidiana

Il dolore cronico è una condizione invalidante. La sua natura profondamente soggettiva e complessa, fatta di componenti sensoriali ed emotive, lo porta a essere spesso sottovalutato sia dai pazienti che dagli operatori sanitari. In tal modo questa condizione rimane a lungo non gestita impattando in maniera significativa sulla qualità di vita di coloro che ne soffrono e dei loro caregiver e familiari.

Sono molti gli studi che hanno analizzato l’impatto del dolore cronico sulla qualità della vita di chi ne soffre. Le conseguenze particolarmente evidenti del dolore cronico che si desumono sono la riduzione dell’attività fisica e le limitazioni nello svolgimento di attività quotidiane tra il 30% e il 50%. In particolare la maggior parte delle persone con dolore cronico riscontra problemi nel muoversi, nel camminare, nello svolgere le normali attività domestiche e lavorative, nel partecipare alle attività sociali e, in generale, mantenere uno stile di vita indipendente.

Un recente studio spagnolo conferma che la maggior parte delle persone con dolore cronico è rappresentata da donne (75% della popolazione) con un’età media pari a 56 anni. La durata media della condizione dolorosa è di circa 10 anni. Il 47% soffre di dolore grave e il 69% assume antidolorifici. Circa il 30% delle persone con dolore cronico dichiara di essere triste o molto triste, il 29% ansioso e ben il 47% ritiene che il proprio dolore influisce sulle proprie relazioni con la famiglia e gli amici.

Tali dati confermano come questa condizione rappresenti un importante problema economico e sociale impattando negativamente sulla routine delle persone, rendendo complesse anche le più banali attività quotidiane.

 

Conclusioni

Il dolore cronico è una malattia complessa, a sé stante che consiste in un’interazione di fattori fisici, psichici e sociali. L’approccio di cura consigliato è multimodale, multidisciplinare e personalizzato. La percezione del dolore, infatti, è unica e soggettiva, per cui ogni persona ne fa un’esperienza diversa.

Il dolore suscita sentimenti negativi come paura, collera e preoccupazione e determina stati d’ansia e depressione. Questo porta le persone con dolore cronico a limitarsi, particolarmente nell’attività fisica. Con il persistere di questa condizione, dei sentimenti negativi, del malumore e dell’amplificazione del dolore che spesso ne consegue, si entra in un circolo vizioso.

Ascoltare prima di tutto le persone, il racconto della loro sofferenza e di come essa interferisca con le loro attività quotidiane è la chiave per una gestione più completa ed adeguata del dolore cronico.

 

Referenze

  1. https://icd.who.int/browse11/l-m/en#/http://id.who.int/icd/entity/1581976053 ultimo accesso in data 26/04/2022
  2. Duenas M. et al. Limitations in Activities of Daily Living in People With Chronic Pain: Identification of Groups Using Clusters Analysis. Pain Pract. 2020;20(2):179–87. DOI: 10.1111/papr.12842
  3. Natale MR et al. Ridisegnare il percorso di cura e gli obiettivi del trattamento nel paziente con dolore cronico: spunti emersi dall’Evento Science of Relief 2.0 . Drugs Context. 2021;10:2021-6-4. https://doi.org/10.7573/dic.2021-6-4
  4. Cohen S.P. et al. Chronic pain: an update on burden, best practices, and new advances, Lancet 2021; 397: 2082–97

 

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