Vulvodinia: la sindrome non riconosciuta che colpisce 1 donna su 7
Intervista di Cinzia Diana
La vulvodinia, che ancora oggi è relegata tra le cosiddette “malattie invisibili”, è estremamente invalidante e colpisce mediamente 1 donna su 7, ovvero circa 4 milioni di donne in Italia. L’iter diagnostico è molto difficile e le donne affette da vulvodinia impiegano anni prima di ricevere una diagnosi corretta. Elena Tione, Presidente dell’Associazione VulvodiniaPuntoInfo Onlus, ci ha raccontato la sua esperienza di donna, di ex-paziente, di attivista e Presidente di un’Associazione di pazienti.
Facciamo un po’ di chiarezza, che cos’è la vulvodinia e quali sono i sintomi più comuni?
“La vulvodinia, o meglio la Sindrome VulvoVestibolare, è un’infiammazione cronica che colpisce tutta la zona vulvare, non solo il vestibolo, interessando spesso la cute perineale e accompagnandosi anche a disturbi rettali e uretrali. Si esprime con un dolore cronico, bruciante e costante, specialmente nella zona della forchetta, e causa anche una forte sensazione di punture di spillo o di abrasione.
È determinata da tanti fattori, trattandosi di una sindrome e non di una patologia in sé per sé, pertanto in quanto tale comporta una sintomatologia complessa che va dalla sensazione di irritazione a quella di “micro taglietti”, fino a causare ragadi visibili o tagli sulla mucosa. Può portare prurito vulvare e/o secchezza vaginale o provocare un gonfiore più o meno accentuato della vulva. Molte donne affette da vulvodinia provano un dolore fortissimo durante i rapporti sessuali e questo compromette in maniera devastante la propria sfera intima e la vita di coppia.
La diagnosi si ottiene tramite lo Swab Test, conosciuto anche come Test del cotton fioc, che consiste nello sfioramento della punta di un cotton fioc di zone specifiche del vestibolo. E quando si è in presenza di vulvodinia, questo solo sfioramento provoca una sensazione così dolorosa e bruciante che porta la donna che ne soffre a saltare letteralmente dal lettino. È un disturbo cronico, al 100% fisico, che quando colpisce in maniera severa, impedisce di vivere una vita normale.”
Le andrebbe di raccontarci la sua esperienza personale? Cosa significa soffrire di vulvodinia e come è cambiata la sua vita?
“È iniziato tutto il 2 giugno del 2001, avevo 23 anni. Una mattina, senza alcun tipo di avvisaglia, mi sono svegliata con un fortissimo bruciore nell’area vestibolare della vulva. La sensazione che ho provato è stata simile ad un’ustione, proprio come quando stai cucinando o stirando e ti scotti. Ero una studentessa universitaria, vivevo in un appartamento in affitto e avevo tante spese da sostenere, così per evitare di spendere soldi per una visita privata, mi sono recata al consultorio. Senza farmi alcun tipo di esame, se non un’esplorazione con lo speculum all’interno della cavità vaginale, mi hanno dato una lavanda anti-candida e rispedita a casa. Ho seguito la terapia indicata ma il dolore non accennava ad andarsene, anzi aumentava giorno dopo giorno.
E così è iniziato il mio calvario, che è andato avanti per anni. Mi sono recata da uno specialista all’altro alla ricerca di una diagnosi e soprattutto di una soluzione, ma nessuno sapeva dirmi che cosa avessi. Non riuscivo più a stare seduta, a portare un paio di slip o di collant, jeans neanche a parlarne, persino camminare era diventato doloroso. E naturalmente non riuscivo più ad avere rapporti intimi. Qualsiasi cosa toccasse il vestibolo aumentava sempre più quel senso di ustione e di punture di spillo, di scosse elettriche e di tanti altri sintomi estremamente invalidanti.
I medici mi dicevano che non avevo niente, che era tutto nella mia testa e che forse avrei fatto meglio a rilassarmi o ad andare dallo psicologo! Finché, dopo più di quattro anni, un dermatologo mi disse che avevo la vulvodinia, ma non mi diede alcuna terapia, suggerendomi solo di tornare a casa e “cercare su internet” informazioni su come curarla. Ne rimasi sconvolta, anche perché all’epoca io non avevo nemmeno internet a casa, ero veramente smarrita.
Fortunatamente poco dopo ebbi una temporanea remissione spontanea, che durò qualche anno, fino al fatidico 2009, ovvero quello che io chiamo “l’Anno della Grande Ricaduta”, in cui mi ripiombò tutto addosso. Oltre al dolore e agli altri sintomi devastanti, in quel periodo ho perso il lavoro e anche la persona che avrei dovuto sposare. Mi erano rimasti solo un laptop ed una connessione internet, così decisi di cercare aiuto online, desideravo connettermi con altre persone e capire cosa provavano e come potevamo uscire da tutta quella sofferenza, fisica ed emotiva. E così nel 2010 decisi di creare il Forum Vulvodinia.info, volevo che diventasse un punto di riferimento per tutte le donne che soffrono di vulvodinia. Nel giro di poco si iscrissero centinaia di donne fino ad arrivare a migliaia! In moltissime loro storie ho riletto la mia esperienza, anche se molte erano persino più terribili della mia.
Nel 2014, ho voluto con tutte le mie forze che quel forum diventasse un’Associazione Onlus e attualmente siamo quasi 5000 iscritte. Nel 2013 abbiamo anche lanciato la petizione unafirmaperlavulvodinia per vedere riconosciuto il Diritto alla Salute e alle Cure per tutte le Donne che soffrono di vulvodinia, mentre nel 2016 abbiamo istituito la Giornata Internazionale della Vulvodinia – VULVODYNIA DAY, che viene celebrata l’11 novembre per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa sindrome così invalidante e sostenere le donne nel difficile percorso diagnostico.”
La vulvodinia è ancora oggi conosciuta come una “malattia invisibile”. A che punto è l’iter per il riconoscimento della malattia e per il suo inserimento nei livelli essenziali di assistenza (LEA)?
“Purtroppo la situazione non è incoraggiante, la proposta di legge presentata lo scorso maggio alla Camera per il riconoscimento di Vulvodinia e Neuropatia del Pudendo nei LEA, sembra non verrà presa in considerazione, almeno per quest’anno legislativo, a livello politico nazionale. Stiamo preparando un dossier scientifico per portare la base di informazione su come funziona questa sindrome e quanto possa essere invalidante, così come la neuropatia del pudendo.”
Potrebbe indicarci alcune delle priorità su cui, secondo lei, occorre agire per poter migliorare la vita delle persone con vulvodinia?
“È importante che attualmente si parli finalmente di vulvodinia e si arrivi quanto prima al riconoscimento di questa sindrome, ma nella mia esperienza personale di ex paziente, così come di attivista e di presidente di questa Associazione, per me la cosa prioritaria è la formazione dei professionisti della Salute, sia di quelli direttamente coinvolti che di quelli che possano inviare alla figura professionale di riferimento, sulla sindrome della vulvodinia e soprattutto sul funzionamento del dolore. Se le persone hanno effettivamente un ritorno positivo dai ritrovati delle neuroscienze e dalla Ricerca più avanzata, come è avvenuto anche nella mia esperienza personale, perché ancora non viene proposto questo tipo di formazione? Perché lasciare milioni di persone nel dolore?
Naturalmente, tra le priorità, rientra sicuramente anche la necessità di istituire sul territorio nazionale dei centri di assistenza, ascolto e sollievo dalla sofferenza, che siano in grado di diagnosticare immediatamente e correttamente il disturbo, assicurando un percorso multidisciplinare a tutte le donne affette da vulvodinia.”