Il cittadino attore della propria salute
Il patient engagement è una forma di protagonismo della persona con patologia nel percorso di cura e affinché funzioni deve partire da un’interazione alla pari tra Sanità e Cittadino. L’opinione di Francesca Moccia, Vice Segretario Generale di Cittadinanzattiva.
Che cos’è per lei il patient engagement?
Per me il patient engagement è una forma di protagonismo molto avanzata di ciascuna persona nel mantenimento e miglioramento della propria salute, e nel coinvolgimento più ampio nel percorso di cura, quindi dalla diagnosi alla terapia. Patient engagement è proprio la nuova frontiera dell’attivismo, del protagonismo nel campo della salute di ciascun cittadino, ciascuna persona, ed è anche un po’ l’esito di una cultura che in questi anni organizzazioni di tutela del diritto alla salute hanno contribuito a costruire proprio per un attivismo, un coinvolgimento del cittadino come attore della propria salute.
Quali sono le criticità nel patient engagement?
Il patient engagement funziona se non è un processo che burocratizza questo protagonismo delle persone sulla propria salute. Funziona se c’è una reciprocità di fiducia del cittadino verso il Sistema Sanitario, verso i medici, personale, verso quello è che il servizio, in qualche modo il presidio per la propria salute. Le principali criticità che rileviamo sono proprio la mancanza di fiducia e di reciprocità e di ascolto. Un patient engagement che funzioni parte da questa interazione sana, alla pari tra questi due soggetti, la Sanità da una parte e il cittadino dall’altra, fondate su una relazione di fiducia che si può realizzare attraverso uno spazio aperto, di interazione, di dialogo, di ascolto reale ed efficace, in cui ci sia un rispetto dei ruoli a partire però da un principio, che è il valore fondante, cioè l’autodeterminazione di ciascuno di noi per la propria salute, che è il principio su cui si fonda qualsiasi azione nel campo della salute.
Cosa può favorire secondo lei la partecipazione del paziente?
Ci sono molte esperienze che favoriscono la partecipazione del paziente nel percorso di cura. Ci sono esperienze di altri Paesi, in cui hanno in qualche modo identificato luoghi, gruppi di lavoro, tavoli con le Istituzioni, ma anche processi partecipati ai diversi livelli, come per esempio è avvenuto nei processi di Health Technology Assessment, che sono delle valutazioni multistakeholder e anche multidisciplinari che precedono l’introduzione di nuove tecnologie sanitarie. Ecco, l’HTA è una grande opportunità, lo è stata. Ci auguriamo che anche in Italia si affermi sempre di più il protagonismo dei pazienti, attraverso le Associazioni che li rappresentano, ma non solo. Anche le organizzazioni della Cittadinanza portano un punto di vista in una valutazione che è di politica sanitaria, cioè come introdurre una nuova tecnologia, che non è solo un nuovo farmaco, un nuovo dispositivo ma ha a che fare con una nuova modalità organizzativa. Anche l’introduzione di un percorso di diagnosi e di terapia nuovo è una nuova tecnologia sanitaria, e in quanto tale merita una valutazione in cui anche i pazienti abbiano voce.
In base alla patologia e all’età dei pazienti, ci sono specifiche criticità nell’interazione medico – paziente /caregiver?
In un buon patient engagement è necessario tener conto delle specificità dell’individuo, cioè nulla di astratto, nulla di burocratico, ma uno spazio di interazione reale che funzioni, che sia tempestivo. Quindi è chiaro che se ci sono delle patologie che necessitano, per esempio, di un coinvolgimento maggiore del caregiver, è quello che va valorizzato. Se ci sono patologie, che poi in particolare riguardano gli anziani, bisogna tener conto, invece, di questa particolare specificità. E poi le singole patologie chiaramente hanno delle caratteristiche per cui hanno dei gradi e delle potenzialità diverse di interazione, ma tutte meritano una personalizzazione del percorso. Ciascun individuo ha bisogno di risposte specifiche: forse è proprio questo il cuore del patient engagement o uno degli obiettivi fondanti, cioè tener conto di quella persona con quella specifica patologia e che ha delle caratteristiche uniche anche nelle proprie capacità, nonché il proprio livello culturale o anche la capacità di interagire, per esempio, con uno strumento digitale. C’è chi ha una maggiore facilità, chi ha una minore facilità, quindi bisogna tener conto di tutti questi fattori per una risposta che sia quella giusta, la più efficace, che sia proprio su misura per quella persona.
Quali potrebbero essere le prime azioni da compiere per favorire il patient engagement rispetto alle patologie di cui vi siete occupati?
Le prime azioni da porre in essere dovrebbero essere innanzitutto azioni che mirano a informare e a formare i cittadini ma anche le Associazioni sull’engagement e su quello che questo comporta. Quindi bisogna continuare un’azione da una parte culturale e dall’altra di diffusione di strumenti di questi processi, che soprattutto in altri Paesi si sono consolidati. Portare best practice, quindi esperienze dirette di chi questo tipo di percorso lo ha già fatto, di singoli pazienti ma anche Associazioni, e soprattutto dimostrare che anche le grandi battaglie si riescono a vincere, quelle battaglie che sembrano riguardare solo gruppi specifici ma che in realtà rappresentano delle grandi vittorie anche a disposizione degli altri.
Quanto le nuove tecnologie possono favorire il patient engagement del paziente?
Le nuove tecnologie possono favorire molto i processi di coinvolgimento e di protagonismo dei pazienti, perché è dimostrato attraverso pratiche, esperienze, molte anche favorite dalle stesse Associazioni di malati cronici, soprattutto nel periodo della pandemia, che riducono le distanze, soprattutto permettono controlli importanti per evitare anche il peggioramento delle condizioni delle persone quando hanno delle patologie importanti.
Le tecnologie hanno grandissime potenzialità. Parliamo anche di strumenti completamente diversi, perché un conto è una televisita, un conto è un’app che permette un’interazione anche sulla propria terapia, quindi che migliora magari semplicemente l’aderenza a una terapia. Un conto è tutto ciò che ha a che fare con la chirurgia e quindi la robotica o sistemi di intelligenza artificiale, che riguardano ancora altri aspetti più complessi ma che sono il futuro. E’ molto variegato il mondo di risposte che la tecnologia oggi può dare, ma c’è una grandissima aspettativa da parte di tutti verso una tecnologia che però sia rigorosamente al servizio della persona, che abbia grande rispetto delle informazioni, della riservatezza della persona e che non limiti in nessun modo la parte umana della relazione, che deve essere conservata in una sana alleanza terapeutica.