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Patient engagement sinonimo di Ssn sostenibile

L’engagement garantisce la qualità di vita del paziente, migliora la gestione della malattia e determina la sostenibilità del Sistema Sanitario. Occorre formare i medici di oggi per la medicina del domani. L’opinione di  Salvo Leone, direttore generale Amici Onlus.

Che cosa è per lei il patient Engagement?

È l’innalzamento del rapporto tra due persone, la persona che cura e lapersona che ha una patologia cronica, per migliorare gli outcome non soltantoclinici, ma anche relativi alla qualità di vita. Quindi, non è soltantocomunicazione. È qualcosa di molto più complesso.

Come definirebbe illivello attuale di patient engagement delle persone con patologie infiammatoriecroniche dell’intestino?

Direi molto scarso, ma allargherei al mondo della cronicità in Italia.Perché il paziente non ha la percezione di quanto possa incidere nel percorsodi cura. C’è ancora un rapporto di sudditanza. C’è ancora un rapporto diriverenza nei confronti del medico, che porta certe volte il paziente anche asubire la decisione senza entrare nel merito di alcuni aspetti della cura odella gestione della malattia, che potrebbero fare migliorare la sua vita.

Quali sono lecriticità del patient engagement delle persone con malattie infiammatoriedell’intestino? Cosa funziona e cosa no? Come si potrebbe superare il problema?

Nel 2016 Amici Onlus ha realizzato un progetto che si chiamava AMICIWECARE, che era proprio teso a far emergere le necessità da parte dei pazienti esoprattutto a parametrare gli standard di cura su quelle che fossero le esigenzedei malati. È emerso il disallineamento tra le richieste dei pazienti e lapercezione dei medici che li curavano. Alla domanda “ma secondo te cosa èimportante per i tuoi malati” è singolare quanto sia venuto fuori, ovveroche la prima priorità per i malati per i medici era al settimo posto, e laseconda priorità per i malati, per i medici era all’ottavo posto. Abbiamoscoperto inoltre che solo l’11% dei medici intervistati (quelli più giovani) era“engaging“, ovvero coinvolgevanoattivamente i pazienti nel percorso di cura. Il 67% erano sensibilizzati e il20% assolutamente contrario. Ora stiamo lavorando sul 67%.

Cosa può favorire,secondo lei, la partecipazione del paziente

A mio avviso serve un cambio epocale, una rivoluzione, nel senso chebisogna cambiare atteggiamento, cambiare approccio. Sono Direttore di AMICI dacirca 10-11 anni, e il mondo è cambiato, è diverso, ci approcciamo in manieradifferente ai problemi, è cambiato il modo di comunicare, son cambiate tantecose. L’unica cosa che è rimasta la stessa, e non riguarda solo le malattie infiammatoriecroniche intestinali, sono i bisogni non accolti dei malati. Sono 11 anni chediciamo le stesse cose e la situazione fondamentalmente non è cambiata. Intermini di coinvolgimento attivo del malato significa che probabilmente egliesprime un concetto, magari con parole sue segnala al Sistema di cure qualipotrebbero essere gli aspetti che per lui possono essere migliorati e a uncerto punto si genera una specie di cortocircuito nella comunicazione. Ad uncerto punto quello che il malato dice si interrompe e non viene più seguito. Motivoper il quale probabilmente è necessario cambiare l’atteggiamento da parte delleistituzioni, del mondo scientifico, e soprattutto è necessario provare apensare che spesso l’investimento in Sanità va fatto creando delle politichesanitarie che guardino a 5 anni e non nell’immediato. Quindi, provare a pensareun Sistema sanitario che fra 5 anni possa coinvolgere il paziente nel percorsodi cura ma soprattutto iniziare a formare i medici di oggi per la medicina deldomani, che non sarà sicuramente la stessa.

Secondo lei, tuttii player del PDTA delle persone con malattie infiammatorie dell’intestino, sonoingaggiati adeguatamente per raggiungere un buon livello di patient engagement?

Ci sono delle persone più coinvolte, dei professionisti che lo sonomaggiormente, ma dal mio punto di vista questo rientra nelle caratteristichepersonali piuttosto che in un inquadramento del percorso di cura. Nel PDTAsicuramente l’engagement è poco considerato, perché spesso si cerca diapplicare un PDTA guardando al costo piuttosto che all’efficacia e alladeclinazione dell’engagement per garantire una migliore qualità di vita dellepersone. Abbiamo un PDTA che è più orientato al business che alla qualità divita o soprattutto delle cure delle persone che vengono prese in carico.

In base allapatologia o all’età dei pazienti, ci sono specifiche criticità nell’interazionemedico-paziente/caregiver?

La criticità è una parola di cinque lettere, il “tempo”. Iltempo che il medico ha a disposizione per curare la persona. Una visita dicontrollo mediamente in Italia è di 15 minuti, faccio fatica a pensare che unapersona che sta seguendo un paziente in 15 minuti, dal momento in cui entra instanza al momento in cui esce, riesca a mettere in pratica e a interagire colpaziente in maniera tala da innalzare questa relazione di cui si parlava all’inizioe provare a renderla efficace. Bisognerebbe pensare ad un sistema di cura, eprobabilmente l’emergenza coronavirus ci sta dando qualche soluzione da questopunto di vista, parlo della telemedicina, che possa permettere un’interazione un po’ più lunga.

Perché è importantefare patient engagment? Quali possono essere i benefici?

Il patient engagement èsicuramente importante perché garantisce una migliore qualità di vita.

Peraltro, incrociando i dati del We Care con un’indagine sui costiindiretti di malattia è venuto fuori che se il medico coinvolge attivamente ilpaziente nel percorso di cura, c’è un risparmio dei costi diretti del 20%, unapercentuale delle assenze al lavoro inferiore al 25%. Quindi significa chel’engagement oltre a garantire una buona qualità di vita al paziente, puòsicuramente migliorare la gestione della malattia ma addirittura ci puòpermettere, laddove applicato, di arrivare al Sistema Sanitario sostenibile dicui tutti parliamo e che spesso cerchiamo di raggiungere attraverso il tagliodelle risorse a disposizione.

Quali potrebbero essere, secondo lei, le prime azioni da compiere per favorire il patient engagement?

Sicuramente l’ascolto delle necessità del malato, provare a capirerealmente le necessità, poiché ad oggi, almeno a parole ci siamo, con i fattino. Un cambiamento culturale da parte della classe medica e delle istituzioni,poiché il patient engagement è qualcosadi molto complesso, difficile da realizzare ma che permette di cambiare la vitadel malato e soprattutto di garantire un sistema sanitario che abbia le risorsea disposizione. Un altro aspetto è la formazione del personale sanitario, cheadesso è formato con dei criteri del secolo scorso. Probabilmente, nel percorsoformativo ed educazionale del professionista del futuro mi aspetto che a uncerto punto del percorso di laurea in Medicina o quello di Scienzeinfermieristiche si prenda in considerazione l’aspetto della comunicazione edel coinvolgimento attivo del malato, cose che al momento non vengono fatte.Quindi provare a formare i professionisti del futuro su questi concetti puòsicuramente servire a cambiare la situazione non soltanto per i pazienti affettida patologie infiammatorie croniche intestinali, ma io ne faccio un concettopiù generale.

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