Patient engagement: una questione di sistema
Troppo legato al concetto di passività, il termine “paziente” non è adeguato quando in gioco c’è la partecipazione attiva della “persona con” per ottimizzare l’outcome clinico. L’engagement riguarda tutti coloro che sono collegati al Pdta. Il patient engagement è una questione di sistema.
La collaborazione delmalato è fondamentale per il buon esito del proprio Pdta (Percorso diagnostico-terapeutico-assistenziale).Soprattutto nel caso delle malattie croniche, che prevedono di seguire terapieprecise per lungo tempo e anche scadenze per valutazioni in itinere dell’andamentodella malattia.
Per questo, se il centro del Pdta è proprio un soggetto che deve essere quanto più collaborativo possibile,non può essere chiamato “paziente”. Si tratta di un termine la cui accezionerimane troppo legata all’atteggiamento passivo che fino a qualche anno facontraddistingueva coloro che erano affetti da malattia.
A ciò si aggiunge il fatto che parlare di partecipazione attiva del paziente – o come la chiamano in molti “patient engagement” – non può più significare limitare l’ambito di intervento al solo malato. Viceversa, si deve considerare l’universo di soggetti che fanno parte dell’ecosistema di interventi sanitari che lo riguardano.
A evidenziarlo è l’”Italian Consensus Statement on Patient Engagement in Chronic Care: Process and Outcomes”, pubblicato su International Journal of Environmental Research and Public Health, che rappresenta l’outcome della Consensus Conference condotta da ricercatori italiani su 104 esperti di promozione appunto del patient engagement.
Ebbene, interrogando e discutendo con esperti con backgroud formativo e professionale differente e afferenti al mondo della clinica, della sociologia, dell’assistenza infermieristica, della gestione sanitarie e del policy making, nonché con esperti di patient advocacy e con esponenti delle associazioni di volontariato si è giunti a concordare il fatto che il patient engagement non è un concetto astratto.
Il patient engagement è una questione di sistema. Un sistema di relazioni strettamente correlato a tutte le figure che intervengono a vario titolo nel Pdta. Un processo a cui concorrono tutti gli attori del sistema salute, partendo dalle figure cliniche e andando fino ai caregiver e alle istituzioni sanitarie.
Certo, il “paziente”gioca un ruolo fondamentale e deve essere sempre più empowered. Ma laconsapevolezza che le proprie scelte e leproprie azioni condizionano direttamente l’evoluzione della propria malattiaderiva in larga parte dal contesto in cui si trova e dagli stimoli che arrivano attraverso le persone con cui si relaziona.In altri termini, gli stimoli motivazionali che lo portano a seguirecorrettamente la terapia prescritta e a essere soggetto proattivo anche quandodeve attivare una relazione con i propri referenti sanitari sono in gran partefrutto della sua esperienza relazionale con coloro che si occupano di lui.
Bisogna quindiabbandonare l’arcaica concezione di un engagement del malato che esiste o meno semplicementein base alla sua volitività, dicono gli esperti.Piuttosto tutti coloro che fanno parte della “Sanità” in senso molto allargato,devono capire che stimolare la partecipazione del malato deve essere il puntodi partenza dell’attività clinica e dell’intervento delle istituzionisanitarie.
Arrivare a questo cambio di prospettiva e di paradigma èpossibile, ma occorrono interventiformativi ad hoc per ciascunacategoria di soggetti impegnati nel Pdta, dal medico al caregiver alleassociazioni di pazienti.
Tra gli strumenti che gli esperti ritengono imprescindibili per favorire questo percorso ci sono letecnologie digitali. Ne sono un esempio leterapie digitali, che possono agire per coinvolgere attivamente la “personacon” nel comprendere profondamente le chiavi da utilizzare per tenere sottocontrollo la propria patologia, creando al contempo nuovi modelli di relazionetra se stesso e il mondo della clinica.